IV Novembre, conferma dell’Unità
di Aldo A. Mola
31 ottobre 2010
Il IV novembre è la festa delle Forze Armate. Coincide con
la vittoria dell’Italia nella Grande Guerra (4 novembre 1918). L’intervento in
guerra non fu condiviso. Statisti eminenti, come Giolitti, erano contrari. Però
la lotta per vincere unì tutti perché l’Italia rischiava l’indipendenza dagli
stranieri e la difesa degl’interessi generali permanenti dei cittadini. Fu una
prova durissima. Con enormi sacrifici, l’Italia vinse. Fu la vittoria della
nazione. Va ricordata, non per “celebrare” ma per studiare e capire.
Capo dello Stato era Vittorio Emanuele III di Savoia.
L’ascesa della sua Casa avvenne tra il Quattro e il Settecento nell’Europa
fondata su Papato e Sacro Romano Impero. Vicario dell’Imperatore il duca di
Savoia fu il primo tra i principi italiani. I Savoia svolsero un
ruolo di primo piano nella difesa dell’Occidente cattolico contro
l’avanzata dei Turchi, da Lepanto alle
vittorie di Eugenio di Savoia.
In tale cornice Vittorio Amedeo II ottenne il rango di re di
Sicilia prima (1713), di Sardegna poi (1719): risposta italiana a quello di re
di Prussia nel 1701 conferito da
Leopoldo I a Federico III Hohenzollern nel 1701. Dal 1792 Vittorio Amedeo III
fronteggiò da solo l’offensiva della Repubblica francese, più aggressiva negli
anni del Terrore e vittoriosa con l’Armata d’Italia del generale Bonaparte
negli anni del Direttorio (1796). Nel 1837 Carlo Alberto depose il titolo di
Vicario di un Impero che non esisteva più e si dedicò all’Italia.
L’identificazione tra Casa Savoia e Risorgimento italiano
ebbe accelerazione nel febbraio-marzo 1848, con la promulgazione dello Statuto,
l’affermazione dell’uguaglianza dei regnicoli
dinnanzi alle leggi quale ne fosse la religione e l’assunzione del
tricolore italiano per bandiera del Regno.
La legislazione laicistica degli anni seguenti non mise in discussione
le radici cattoliche della Monarchia, affermate nell’art. 1 dello Statuto,
neppure quando venne arrestato ed esiliato l’arcivescovo di Torino.
L’annessione dello Stato pontificio da parte di Vittorio Emanuele II
(1859-1870) fu un conflitto tra Sovrani e non degenerò mai in guerra di
religione. Perciò l’ingresso di Vittorio Emanuele II e dei suoi ministri o
comandanti di armata nelle terre via via acquisite ottenne la consacrazione di
cerimonie religiose solenni, senza pregiudizio per l’uguaglianza dei
cittadini, cardine della Casa di Savoia alla guida del Risorgimento e
garante dell’unificazione degli italiani: un capolavoro di equilibrio fra
tradizione e novazione, tra storia della
Casa e futuro degli italiani.
Su quelle basi dal 1915 al 1918 l’Italia superò tre anni di
guerra, con sei milioni di mobilitati: la “guerra della nazione”. All’estero
nessuno credeva che l’Italia avrebbe retto la prova. Ce la fece e mostrò che
l’unità non era capriccio di una minoranza, ma frutto della Storia. La salma di
Vittorio Emanuele III, il “Re Soldato”, giace ad Alessandria d’Egitto. E’ ora
di riportarla in Patria, con quella della regina Elena, sepolta a Montpellier.
Il IV novembre ancora una volta deve unire, per capire e guardare avanti.
Tratto da : "Il Giornale del Piemonte"
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